Cassazione Penale – n. 49373 29 ottobre 2018. Operazioni di pulizia di una cisterna contenente vernice: incendio dei vapori del gas. Responsabilità del datore di lavoro e del preposto

Cassazione Penale – n. 49373 29 ottobre 2018. Operazioni di pulizia di una cisterna contenente vernice con una frusta elettrica e un solvente: incendio del gas in evaporazione. Responsabilità del datore di lavoro e del preposto.

Con sentenza del 16.11.2016 la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Alessandria pronunciata il 5.05.2015, riduceva la pena applicata a ciascuno degli imputati, B.N. e S.M., a giorni 20 di reclusione confermando nel resto le statuizioni civili (condanna al risarcimento dei danni e ai pagamento di una provvisionale di euro 10.000,00) in favore della persona offesa costituita, M.A.
B.N. e S.M. sono imputati del reato di cui all’art. 590 1,2,3, comma cod pen in relazione agli artt. 2087 cod.civ., 19 e 71 D.Lvo n.81/08 perché, nella rispettiva qualità di datore di lavoro della C.S.N s.r.l. e di preposto, cagionavano per colpa al lavoratore M.A., dipendente della G.S.I. soc.coop, appaltatrice del servizio di pulizia e riordino del capannone industriale, lesioni personali consistenti in ustioni di 2° e 3° estese al collo, tronco e arti superiori, da cui derivava una malattia e un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per complessivi giorni 186. Si contesta la colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e violazione delle norme di prevenzione e in particolare per aver il B.N. messo a disposizione dei lavoratori una frusta elettrica non idonea al lavoro di pulitura di una cisterna contenente vernice antiruggine e il S.M. per aver omesso di controllare e vigilare l’osservanza delle normative antinfortunistiche, cosicché il lavoratore, mentre effettuava la pulizia della cisterna con la frusta meccanica, dopo aver utilizzato un solvente, cagionava l’innesco di un incendio del gas in evaporazione, procurandosi le ustioni sopra descritte. Fatti accaduti in Novi Ligure il 5.06.2009.
L’infortunio, secondo la ricostruzione della Corte territoriale che riporta puntualmente le risultanze dibattimentali del giudizio di primo grado, avveniva con le seguenti modalità: M.A. dipendente della cooperativa G.S.I, ma che che già da un anno svolgeva quotidianamente la sua attività lavorativa presso la Ditta C.S.N., inizialmente addetto alle pulizie e poi successivamente adibito come operaio al settore produttivo, dove guidava il carroponte, la mattina del 5.06.2009, fu incaricato dal preposto della C.S.N, S.M. capo reparto, di coadiuvare un altro operaio nel pulire la cisterna trasportata su un camion; poiché la cisterna presentava incrostazioni di vernice e il camion doveva ripartire con urgenza, fu utilizzato un solvente; allorché il M.A., come gli era stato indicato, utilizzò una frusta elettrica, che invece normalmente serviva solo a miscelare le vernici, ma che si trovava nella sua diretta disponibilità a pochi metri di distanza, fu investito da una fiammata che lo colpì al volto e al busto. E’ risultato dall’istruttoria che la frusta elettrica non era uno strumento idoneo all’uso poiché generava scintille e, venendo in contatto con materiale infiammabile, quale era il vapore creato dall’uso del solvente, poteva provocare l’innesco di un incendio dei gas in evaporazione.
I giudici di merito individuavano le posizioni di garanzia a carico degli imputati, avendo accertato che la C.S.N si ingeriva nell’attività svolta dai lavoratori della cooperativa, il B.N. era responsabile dell’unità produttiva e, il capo reparto S.M., impartiva disposizioni direttamente anche ai dipendenti della cooperativa di servizi di pulizia. Il M.A., infatti, svolgeva quotidianamente la sua attività lavorativa nell’ambiente di lavoro della C.S.N, nella quale peraltro era utilizzato da ultimo nel settore produzione. B.N. era responsabile dell’unità produttiva di realizzazione e verniciatura di lamiere e S.M. era il preposto; che dava istruzioni anche agli operai della cooperativa. Il giorno dell’incidente non era presente sul posto di lavoro nessun responsabile incaricato della G.S.I coop e M.A., fu comandato dal preposto S.M. di coadiuvare un altro operaio, M., nella pulizia del camion che aveva trasportato le vernici e doveva essere svuotato con urgenza.
I Giudici di merito con una doppia pronuncia conforme hanno individuato la responsabilità del B.N. datore di lavoro nell’aver lasciato a disposizione del lavoratore, in prossimità di materiale infiammabile, uno strumento elettrico e potenzialmente pericoloso, senza utilizzare gli accorgimenti necessari affinchè solo chi era adibito alle funzioni di mescita delle vernici utilizzasse la frusta elettrica o comunque vietarne l’uso a chi svolgeva altre mansioni. Hanno addebitato al S.M., in qualità di preposto, l’attività di vigilanza in ordine all’uso della frusta elettrica da parte del M.A. per pulire la cisterna in cui era stato versato un solvente infiammabile. Tanto più che la Corte ha evidenziato a fol 12 che M.A. era stato adibito ad una mansione non propria, che non aveva mai fatto, e, quindi, doveva essere specificatamente informato sui rischi e le modalità di sicurezza necessarie allo svolgimento dell’operazione di ripulitura che gli era stata affidata.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati B.N. e S.M., a mezzo dei difensori, deducendo i seguenti motivi: violazione di legge, mancanza e contraddittorietà della motivazione sotto il profilo della responsabilità. Deducono in particolare che nessuna ingerenza della C.S.N era stata accertata nel coordinamento degli addetti alle pulizie di cui faceva parte il M.A. e che pertanto è viziata la motivazione della Corte d’appello nel momento in cui ha ravvisato e individuato la qualifica di datori di lavoro e di preposti a carico degli imputati e la violazione degli obblighi di coordinamento e sinergia previsti dall’art. 26 DLGs n.81/2008, peraltro mai contestato. La norma in questione ad avviso della difesa prevede obblighi di informazione e coordinamento, non obblighi di formazione e prevenzione del personale dipendente di altra ditta. Gli addetti alle pulizie prendevano ordini dal loro preposto, certo A., che coordinava le operazioni di pulizia che, a sua volta, il S.M. riteneva necessarie.
2) violazione di legge e vizio e contraddittorietà della motivazione in relazione all’art.41 cod.pen. Deduce la difesa che la frusta elettrica era stata prelevata dal M.A. di sua iniziativa, era in una posizione distante dal luogo della pulizia della cisterna di circa 10 metri; non era di norma utilizzata per la pulizia delle cisterne proprio per la sua pericolosità: l’imprevedibile ed eccezionale uso dello strumento, la frusta elettrica, pericoloso e inidoneo, costituisce un fatto interruttivo del nesso causale sia con riferimento al datore di lavoro che al preposto.
3) Violazione della legge con riferimento all’eccessività della pena che doveva essere contenuta nell’ambito di quella pecuniaria
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto il vizio di legittimità è solo apparente; in maniera generica e inconferente si contesta, infatti, il valore probatorio degli elementi utilizzati dalla Corte di appello per pervenire al convincimento di responsabilità e non si tiene conto degli argomenti e delle indicazioni probatorie puntuali acquisite e risultanti dai due gradi di merito.
I giudici di merito (fogli da 1 a 4 sentenza di primo grado e 14 ,15 sentenza impugnata) hanno accertato, attraverso dichiarazioni testimoniali, che il committente si ingeriva nell’attività svolta dai lavoratori della cooperativa appaltatrice del servizio di pulizie, dando disposizioni, direttive, intervenendo costantemente nella loro esecuzione, mettendo a disposizione le attrezzature, curando l’organizzazione del lavoro, proprio attraverso il capo reparto S.M. (il M.A., nella specie, lavorava da circa un anno presso la C.S.N, inizialmente era stato utilizzato per le pulizie poi era stato adibito addirittura al settore produttivo e guidava il carroponte fol 1 sentenza primo grado; fol. 12 sentenza secondo grado).
Riguardo quindi alle posizioni di garanzia quali datore di lavoro e di preposto, di fatto ricoperte dagli imputati, la decisione impugnata non presenta nessuno dei vizi dedotti. La Corte territoriale ha legittimamente ritenuto alla stregua della ricostruzione dei fatti, acquista dal complesso delle risultanze probatorie e solo genericamente contestata, che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, anche se formalmente ha appaltato a terzi le opere che hanno dato origine all’infortunio (Sez. 4, n.50037 del 10/10/2017, Rv. 271327; Sez.4.n. 7954 del 10/10/2013 Rv. 259274). La Corte territoriale ha poi logicamente e coerentemente argomentato la responsabilità penale degli imputati, oltre ogni ragionevole dubbio, richiamando anche la disposizione di cui all’art. 26 comma 1 lett. b) D.Lgs. n.81/2008 e traendo ulteriori elementi di convincimento proprio dalla interferenza di più organizzazioni di impresa nel medesimo luogo di lavoro -come descritta nella contestazione del fatto contenuta nel capo di imputazione- in cui erano presenti, da un lat, la CSN s.r.l., titolare di attività di produzione realizzazione e verniciatura di lamiere, dall’altro, la cooperativa GSI cui era stato appaltato il servizio di pulizie e da cui formalmente dipendeva la persona offesa. Tale norma infatti trova il suo presupposto applicativo qualora il datore di lavoro abbia affidato lavori o servizi a soggetti terzi (imprese o lavoratori autonomi) “all’interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto». La ratio della norma è evidente: solo la disponibilità effettiva, nel senso di disponibilità giuridico/operativa, dei luoghi in cui si svolgono i lavori consente al datore di lavoro/committente di avere (o comunque di essere tenuto ad avere) compiuta conoscenza delle specifiche caratteristiche degli stessi e quindi dei rischi ad essi connessi. Da ciò consegue l’obbligo di cui alla lett. b) dell’art. 26 cit. di fornire ai soggetti terzi (operanti nei propri “spazi” di lavoro) «dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività». Informazioni che come la Corte territoriale afferma coerentemente non potevano che essere fornite, nel caso di specie, dal Semerari, preposto al controllo e all’organizzazione tanto dei lavoratori della cooperativa che dei lavoratori della C.S.N (fol 14) e dal B.N., responsabile dell’unità produttiva.

Ugualmente non deducibile nella sede di legittimità e perciò inammissibile il secondo motivo, in quanto il ricorrente svolge considerazioni di mero fatto allorché riconsidera le modalità dell’incidente ed in particolare i comportamenti posti in essere dalla persona offesa e dà per accertate situazioni di fatto smentite dalle puntuali ricostruzioni probatorie dibattimentali.
Va ricordato peraltro che la interruzione del nesso di condizionamento, a causa del comportamento imprudente del lavoratore, da solo sufficiente a determinare l’evento, secondo i principi giuridici enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv.261106, in motivazione; Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015, Rv.264365; Sez. 4, n. 49821del 23/11/2012, Rv. 25409) richiede che la condotta del lavoratore si collochi in qualche guisa al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è «interruttivo» non perché «eccezionale» ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (Sez.4 n.15124 del 13.12.2016,Rv.269503).
La giurisprudenza di legittimità è ferma nel sostenere che non possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l’infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle criticità (Sez.4, n.22044del 2.05.2012,n.m; Sez.4,n. 16888,del7/02/2012,Rv.252373).
Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l’area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez.4, n.4114 del 13/01/2011, n.m.; Sez.F, n. 32357 del 12/08/2010, Rv. 2479962).
La Corte territoriale ha fatto corretta e coerente applicazione dei principi giuridici sopra esposti, poiché ha ritenuto accertato da parte dei lavoratori addetti alla pulizia delle cisterne l’abituale e reiterato utilizzo, del tutto improprio, della frusta elettrica quando il contenuto della cisterna stessa era indurito e la frusta di saggina non era quindi sufficiente (tanto che dopo l’incidente la ditta sostituì la frusta elettrica con quella ad aria che non provocava scintille ); ha evidenziato che la condotta imprudente del M.A. non era stata pertanto né imprevedibile nè esorbitante e non poteva perciò fornire alcuna giustificazione né al datore di lavoro né al preposto che, titolari della posizioni di garanzia, avevano omesso di svolgere i compiti che tale posizione impone di adeguata informazione e formazione oltre che di verifica puntuale del rispetto delle norme di prevenzioni degli infortuni(foll4 ). Tanto più che il M.A. da oltre un anno era stato addetto all’unità di produzione e che l’incarico di coadiuvare nelle pulizie della cisterna gli venne dato in via di urgenza, non aveva mai svolto quel compito e la scopa elettrica, utilizzata normalmente per la miscela delle vernici, si trovava nelle immediate vicinanze del luogo ove avveniva la pulitura delle cisterne e comunque era nella disponibilità del lavoratore, che non era stato informato dei rischi e della pericolosità del suo utilizzo, laddove nella cisterna fosse stato versato un solvente facilmente infiammabile.
Manifestamente infondato e perciò inammissibile è il terzo motivo in quanto i giudici di appello hanno legittimamente valutato tutti gli elementi di cui all’art.133 cod. pen e ritenendo il fatto di una certa gravità in considerazione del grado della colpa hanno applicato la pena della reclusione, sia pure ridotta rispetto alla sentenza di primo grado e sostanzialmente corrispondente al minimo edittale.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 a favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende. Fonte CassazioneWeb

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