Caduta dal piano di calpestio pericolante, responsabilità del RSPP.

Cassazione Penale sentenza n. 28468 del 22 luglio 2021 – Piano di calpestio pericolante e conseguente caduta di due operai. Responsabilità del RSPP per inadeguata VDR e omessa individuazione delle misure di sicurezza.

 

Con sentenza del 3.6.2019 la Corte di appello di Lecce – sez. distaccata di Taranto ha confermato la declaratoria di responsabilità di S.Z. in ordine al reato di cui agli artt. 113 e 589, commi 1-2-4, cod. pen., per avere, in cooperazione colposa con altri soggetti, quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione (d’ora in poi: RSPP) della ditta E. S.r.l., cagionato la morte di C.M. e lesioni a A.L., i quali, impegnati nella risoluzione di un problema al binario di scorrimento ubicato all’interno dell’area di cantiere della ditta E. S.r.l., precipitavano da oltre 9 metri nella zona sottostante, denominata passerella, in seguito al venir meno del piano di calpestio provvisorio formato da lamiere precarie e pericolanti non fissate stabilmente sul proprio telaio (fatto del 28.2.1013). Il tutto nell’ambito di lavori appaltati dalla I. S.p.a. alla E. S.r.l., per il rifacimento della copertura e del refrattario dei Piedritti dal 136 al 140 della batteria IX del reparto Cokeria .

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore del S.Z., lamentando quanto segue.
I) Violazione di legge, per erronea valutazione del ruolo del RSPP.
Deduce che la definizione di RSPP di cui all’art. 2 d.lgs. n. 81/2008 prevede che tale figura risponda del suo operato al datore di lavoro, il quale è il soggetto giuridico che deve adempiere agli obblighi prevenzionali. Una profonda differenza separa il ruolo manageriale del RSPP da quello tecnico-specialistico del tradizionale “responsabile della sicurezza”. Il ricorrente ha valutato e preventivato l’esistenza dei rischi potenziali per i lavoratori e i soggetti terzi che interagiscono con i servizi offerti dall’impresa, redigendo il relativo documento. Le omissioni contestate al RSPP sono frutto di un errato inquadramento dell’opera e nel POS redatto viene chiaramente evidenziato il fattore di rischio (caduta dall’alto di materiale e degli operai). Il ruolo del RSPP rimane comunque un ruolo tecnico di staff, di natura consultiva e propositiva, e non è titolare di nessuna posizione di garanzia rispetto all’osservanza della normativa antinfortunistica.
II) Mancata assunzione di una prova decisiva, posto che lo S.Z. ha redatto il POS correttamente, indipendentemente dal fatto che l’I. abbia erroneamente inquadrato l’appalto. All’esito della redazione del POS da parte del RSPP sono state regolarmente impartite le nozioni tecniche attraverso le riunioni relative alla formazione e informazione di tutto il personale E. interessato alla manutenzione, in modo che emergessero tutti i rischi presenti durante le fasi delle lavorazioni.

1. Il ricorso è inammissibile, in quanto generico e aspecifico, posto che le censure non si confrontano adeguatamente con le specifiche argomentazioni delle conformi sentenze di merito, che hanno chiarito come l’incidente sia stato conseguenza di una serie di omissioni e di errato inquadramento dei lavori appaltati alla ditta E..

2. Il primo motivo, inoltre, è manifestamente infondato e reiterativo di questione sulla quale la Corte di appello aveva già risposto correttamente in diritto, essendo ormai indiscutibile, nella giurisprudenza di legittimità, l’orientamento che attribuisce alla figura del RSPP uno specifico ruolo di garante nella materia prevenzionistica. Infatti, in tema di infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 11708 del 21/12/2018, dep. 2019, Rv. 275279 – 01; fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del RSPP in relazione alle lesioni riportate da un lavoratore, per aver sottovalutato, nel documento di valutazione dei rischi, il pericolo riconducibile all’utilizzo di un carrello elevatore inadeguato e privo di misure di sicurezza per il tipo di travi movimentate dai lavoratori).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno insindacabilmente accertato che il prevenuto, nella sua qualità di RSPP, sottoscrisse un piano di sicurezza non rispettoso dei contenuti minimi previsti dall’art. 96, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 81/2008 e, in ogni caso, carente e generico, privo di indicazioni in ordine alla procedura da seguire per la realizzazione del piano di calpestio. È stato appurato, inoltre, che la segnaletica utilizzata nel cantiere era inadeguata, perché non consentiva la percezione dei rischi reali cui si andava incontro accedendo al cantiere; i lavoratori non erano stati resi edotti della estrema pericolosità di quel piano e del concreto rischio di precipitazione. Nella sostanza, la responsabilità dello S.Z. è stata affermata sulla base di una inadeguata valutazione dei rischi ed in considerazione della omessa individuazione delle misure per la sicurezza dello specifico ambiente di lavoro, con particolare riguardo a quella parte del cantiere in cui si è verificato l’infortunio, rivelatasi oltremodo pericolosa. È stato correttamente osservato che sullo S.Z. incombeva il dovere di informare il datore di lavoro del rischio esistente e di interagire con lo stesso per l’ideazione e costruzione di una struttura idonea (da verificare e collaudare prima del suo utilizzo), e per la predisposizione di un’adeguata segnaletica di sicurezza, che consentisse agli operatori di percepire i rischi reali cui si andava incontro accedendo al cantiere.
Si tratta di una ponderata, congrua e logica valutazione di merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità.

3. Il secondo motivo deduce la mancata assunzione di una prova decisiva, senza neanche puntualizzare in cosa sarebbe consistita una simile prova. Il ricorrente, sul punto, si limita ad affermare genericamente “la mancata assunzione di quelle prove in base alle quali appare evidente (…) l’esclusione della responsabilità in capo allo S.Z.”.
Per il resto, la censura sviluppa considerazioni sul contenuto del POS generiche e in fatto, assumendo che lo S.Z. avrebbe redatto il POS diligentemente e correttamente, individuando adeguatamente i rischi connessi alle lavorazioni. In tal modo, tuttavia, si continua a pretendere di ottenere da questa Corte di legittimità una diversa ricostruzione dei fatti (peraltro sulla base di generiche allegazioni), approccio notoriamente non consentito in questa sede, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, il quale, come già dett o, ha fornito al riguardo una motivazione corretta in diritto ed immune da vizi logici.

4. Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

Fonte: CassazioneWeb

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