Cassazione Penale, sentenza n. 34805 del 23 luglio 2018 – Infortunio mortale del lavoratore folgorato per “arco voltaico”. Previsione del rischio e formazione specifica

Cassazione Penale, sentenza n. 34805 del 23 luglio 2018 – Infortunio mortale del lavoratore. Previsione del rischio e necessaria una formazione specifica se il lavoratore è straniero.

Con sentenza in data 20 ottobre 2016 la Corte d’Appello di Firenze confermava la condanna pronunciata dal Tribunale cittadino nei confronti di S.F., V.G. e G.M., ritenuti responsabili della morte dell’operaio D.E., deceduto in Sesto Fiorentino nel cantiere della P. P. S.p.a., società nella quale il S.F. ed il V.G. rivestivano il ruolo di amministratori delegati, ed il G.M. di coordinatore in fase di progettazione e di esecuzione dei lavori.

Secondo la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito, la mattina del 15 gennaio 2008 il D.E., dipendente della P. P. S.p.a., subappaltatrice della società S. s.r.l., ed addetto alle opere di finitura esterna di un prefabbricato, era rimasto folgorato per effetto di un “arco voltaico” creatosi da una linea elettrica a 15.000 volt che attraversava quel cantiere a mt.8,50 dal suolo. Il lavoratore, posizionandosi su una piattaforma elevabile, azionata da lui stesso, si era avvicinato troppo alla linea elettrica, certamente ad una distanza inferiore a 5 metri, tenendo fra l’altro in mano un ombrello per ripararsi dalla pioggia, ombrello che, unitamente all’umidità dell’area, aveva facilitato il passaggio della corrente elettrica e determinato la folgorazione. Era stato altresì verificato che l’autocarro con la piattaforma era stato posizionato non correttamente rispetto al profilo del fabbricato, poiché la cabina, e non la parte posteriore, era rivolta verso la parete dello stesso ed inoltre non erano stati correttamente installati gli stabilizzatori, che poggiavano su un terreno bagnato e non sicuro.

La Corte territoriale, concordemente a quanto già ritenuto dal Tribunale, escludeva un comportamento abnorme del lavoratore e ravvisava, a carico degli imputati, i plurimi profili di colpa specifica indicati nel capo di incolpazione, e precisamente: la mancata valutazione nel POS del rischio inerente le lavorazioni, anche in quota, in prossimità della linea elettrica presente nel cantiere e la conseguente mancata adozione delle necessarie misure di prevenzione, quali in particolare la sorveglianza a terra con altro operatore debitamente formato ed addestrato all’uso della piattaforma e le precauzioni atte ad evitare contatti accidentali o avvicinamenti pericolosi alla suddetta linea, trattandosi di lavorazioni svolte a distanza inferiore a 5 metri; la mancata considerazione, nel PSC redatto dal G.M., professionista incaricato dalla committente S, s.r.l., del rischio derivante dalla presenza della linea elettrica sul cantiere, che peraltro non era stata disattivata, rischio che il PSC avrebbe dovuto almeno menzionare per fornire alla ditta appaltatrice le prescrizioni di massima, rimandando poi a quest’ultima l’individuazione delle modalità concrete per adeguarsi alle prescrizioni, anche tenendo conto della operatività in cantiere di squadre di stuccatori che dovevano lavorare all’esterno ed in quota, in prossimità della linea elettrica; la mancata formazione ed addestramento del D.E. in ordine alla mansione cui era adibito ed ai rischi specifici connessi all’utilizzo della piattaforma in dotazione.

Gli imputati S.F. e V.G., tramite il comune difensore di fiducia, hanno proposto un unico ricorso affidato a tre motivi.

Con il primo motivo denunciano violazione di legge e vizio della motivazione in punto di esclusione dell’ipotesi di comportamento esorbitante e/o imprevedibile del lavoratore. Osservano che l’impugnata sentenza ha dato rilevanza alle sole condotte estranee al contesto lavorativo, mentre, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, va apprezzata la imprevedibilità di due distinte categorie di comportamenti del lavoratore e precisamente: quello “esorbitante”, che si identifica in quel contegno dell’infortunato che, seppure assunto nell’ambito lavorativo, fuoriesce dal perimetro dalle mansioni attribuite, ovvero si dimostra contrario agli ordini ed alle disposizioni impartite dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci; quello “abnorme”, che si identifica in quel contegno dell’infortunato che si pone inopinabilmente al di fuori del contesto lavorativo e delle mansioni attribuite. Ritengono che nel caso di specie si sia in presenza di un comportamento rientrante nella prima categoria, e dunque di un comportamento non abnorme ma, appunto, “esorbitante”, atteso che il D.E. aveva contravvenuto alle disposizioni impartite dall’assistente di cantiere Tornasi circa l’organizzazione del lavoro nel giorno in cui si verificò il sinistro, avendo questi ordinato di soprassedere, a causa della pioggia, ai lavori di finitura in quella zona del cantiere. Si era trattato poi di un comportamento ex se imprevedibile del lavoratore, che si era portato con l’autocarro sul retro del fabbricato, si era issato sul cestello riparandosi con un ombrello, ed aveva stazionato con il veicolo ad una distanza dalla linea elettrica, inferiore a quella di metri 8, normativamente prevista. La motivazione della sentenza era ancora carente in relazione alla percepibilità del rischio costituito dalla presenza di linea di media tensione, tangente il fabbricato presso il quale dovevano eseguirsi le stuccature: si trattava di un pericolo a tutti noto e ciò nonostante il veicolo venne parcheggiato dal D.E. proprio al di sotto della linea elettrica.

Con il secondo motivo deducono illogicità e carenza della motivazione in relazione alla efficienza causale delle regole cautelari asseritamente violate ed al nesso intercorrente tra le omissioni contestate e l’evento mortale. Ribadiscono che l’omessa predisposizione di cautele per evitare l’eccessivo avvicinamento alla linea elettrica, contestata come profilo di colpa specifica, non assumeva nella specie rilevanza causale posto che il lavoro che il D.E. doveva svolgere non implicava l’esecuzione di mansioni in corrispondenza della linea elettrica a distanza inferiore a quella normativamente prevista. L’efficienza causale ascritta in sentenza alla “presenza di leve di comando non riconoscibili sul carrello elevatore”, che poteva aver determinato l’inavvertito azionamento della leva sbagliata, costituiva un’ipotesi meramente congetturale. L’omessa previsione nel POS della contemporanea presenza a terra di un lavoratore nel caso di utilizzo della piattaforma, come previsto dal Manuale d’uso, non costituiva una regola cautelare violata, poiché nel citato Manuale è espresso il divieto di operare in prossimità di linee elettriche aeree ad alta tensione e, comunque, si prescrive la distanza minima di sicurezza di metri 5 dai cavi, ma non prevede alcuna cautela aggiuntiva costituita dalla presenza di un “osservatore” a terra: la medesima prescrizione era altresì visibile nelle targhe di istruzioni poste all’interno del cestello e sul braccio operatore, come da Manuale. Ancora, la sentenza non ha spiegato quale comportamento alternativo lecito sarebbe stato atto a scongiurare l’occorso, sia pure nel termine predittivo di tale verifica: afferma la Corte d’Appello la sussistenza di un difetto di c.d. “organizzazione primaria” a cagione della carenza di specifica previsione all’interno del POS, tanto che la linea elettrica non fu mai disattivata né fu in qualche modo segnalata in cantiere la distanza di rispetto da essa, da osservarsi dagli operatori durante i lavori, ma non ha chiarito l’efficienza causale impeditiva di un POS maggiormente dettagliato e/o di una correlata istruzione del dipendente quanto alla concretizzazione in evento del rischio di elettrocuzione.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano vizio di motivazione in punto di esclusione di un concorso di colpa del lavoratore, che tenne un comportamento oggettivamente imprudente.

La difesa del V.G. ha depositato motivi nuovi con i quali evidenzia due profili di censura: il primo attiene alla sua posizione di garanzia, ritenuta dai giudici di merito esclusivamente in considerazione del ruolo ricoperto nella P. P. S.p.a., senza tenere conto che committente e dunque responsabile dei lavori era la S. s.r.l.; il secondo evidenzia che le deficienze organizzative ritenute in sentenza non trovavano corrispondenza nella rubrica dell’imputazione, e vi era stata quindi violazione dell’art.521 c.p.p.

Ha proposto autonomo ricorso G.M., tramite il difensore di fiducia, per due motivi.

Con il primo, analogo al primo motivo dei coimputati, deduce vizio della motivazione in relazione alla esclusione di un comportamento abnorme o esorbitante del lavoratore, e richiama giurisprudenza di questa Corte di legittimità in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, con la quale è stato recentemente stigmatizzato il passaggio da un modello “iperprotettivo” del lavoratore ad un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori medesimi.

La seconda censura attiene invece alla dosimetria della pena, determinata senza il rispetto dei parametri dell’art.133 c.p.

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