Cassazione Penale sentenza n. 6790 del 15 febbraio 2024 – Infortunio durante lo smontaggio di un elevatore.

Apprendista designato preposto: risponde il datore di lavoro se il preposto è inidoneo

Fatto

1. Con sentenza in data 04/04/2023, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza con cui, il precedente 21/12/2020, il Tribunale di Milano aveva affermato la penale responsabilità di A.A. in relazione al delitto di lesioni personali colpose e, per l’effetto, l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del A.A., avv.to Maurizio Bortolotto, che ha articolato due motivi di ricorso, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 590, commi 1 e 3, cod. pen., 18 e 19 D:leg. 81/2008 e ss.mm.ii. nonché vizio di motivazione per contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento della prova in punto di valutazione della posizione di garanzia all’interno del complesso aziendale in cui ebbe a verificarsi il sinistro e di individuazione del soggetto titolare di detta posizione.

Osserva al riguardo che nella decisione della Corte territoriale la ritenuta inidoneità dell’apprendista B.B. allo svolgimento dei compiti di preposto alla sicurezza sarebbe stata illegittimamente e irragionevolmente inferita dalla sola qualifica giuslavoristica da costui rivestita, posto che l’equiparazione inidoneità-apprendistato non è normativamente sancita e, nei fatti, risulterebbe smentita dalla documentazione riversata in atti dalla difesa (lettera di assunzione del predetto, sua designazione quale preposto alla sicurezza e attestato di frequenza al corso “Modulo aggiuntivo per preposti”).

Rileva, altresì, che nell’anzidetta decisione si rivelerebbe erronea anche l’affermata carenza di una idonea delega in favore del menzionato B.B., atteso che la titolarità, in capo allo stesso, della posizione di garanzia discenderebbe, in via diretta, dalla nomina a preposto, nell’ottica di un modello organizzativo con “competenza a scalare”.

Sostiene, poi, che il decisum della Corte di appello di Milano risulterebbe ulteriormente erroneo nella parte in cui è affermato il concorso delle responsabilità del datore di lavoro e del preposto alla sicurezza, contrastando l’assunto sia con il quadro normativo di riferimento, sia con la logica di sistema, che individua nel preposto, laddove nominato, il soggetto che sovraintende e vigila sull’osservanza delle disposizioni concernenti l’esecuzione dell’attività lavorativa in funzione di esazione degli obblighi organizzativi incombenti sul datore di lavoro.

Assume, da ultimo, che la pronunzia impugnata risulterebbe viziata da un evidente travisamento della prova – e, segnatamente, della dichiarazione del teste B.B. relativa a un pregresso impiego dell’infortunato in un’analoga attività – nella parte in cui afferma che l’incidente occorso a C.C., soggetto privo di specifiche mansioni in ragione delle ridotte capacità professionali, si sarebbe verificato a causa del suo indebito coinvolgimento, dovuto all’applicazione sul cantiere di prassi “contra legem”, in una lavorazione, quale lo smontaggio di un elevatore, che richiedeva specifiche competenze.

2.2. Con il secondo motivo si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., di violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 43 e 590, commi 1 e 3, cod. pen., nonché di vizio di motivazione per contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento della prova in punto di ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra la condotta tenuta dal datore di lavoro e l’evento in concreto verificatosi.

Osserva al riguardo che nella decisione della Corte territoriale, dopo essersi erroneamente individuato nell’imputato il soggetto deputato al governo del rischio correlato alle lavorazioni, lo si sarebbe ritenuto responsabile, sul piano penale, dell’infortunio occorso al lavoratore senza indicare in alcun modo, a fronte di un comportamento di quest’ultimo quantomeno anomalo (non risulta accertato se si sia avvicinato al macchinario di sua iniziativa o su sollecitazione del collega D.D.), la condotta alternativa lecita che, in tesi, avrebbe dovuto essere tenuta, senza scandagliare il profilo della concreta idoneità della stessa a prevenire l’evento e senza valutare l’effettiva possibilità, per il soggetto agente, di conformarsi alla regola cautelare.

Diritto

1. Il ricorso presentato nell’interesse di A.A. è manifestamente infondato per le ragioni che, di seguito, si espongono.

2. Privo di pregio è il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 590, commi 1 e 3, cod. pen., 18 e 19 D.LGS. n. 81 del 2008 e vizio di motivazione per contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento della prova in punto di valutazione della posizione di garanzia all’interno dell’azienda in cui si verifico il sinistro e di individuazione del soggetto investito di tale posizione, sostenendo che nella decisione della Corte territoriale: a) sarebbe stata irragionevolmente inferita dalla sola qualifica giuslavoristica di apprendista rivestita dal B.B. la sua ritenuta inidoneità allo svolgimento delle funzioni di preposto alla sicurezza; b) risulterebbe erronea l’affermata carenza di delega idonea in favore del B.B., derivando la titolarità, in capo al predetto, della posizione di garanzia direttamente dalla nomina a preposto; c) risulterebbe egualmente erroneo l’affermato concorso delle responsabilità del datore di lavoro e del preposto alla sicurezza, contrastando l’assunto sia con il quadro normativo di riferimento, sia con la logica di sistema, che individua nel preposto il soggetto che sovraintende all’osservanza delle disposizioni concernenti l’esecuzione dell’attività lavorativa, in funzione di esazione degli obblighi organizzativi del datore di lavoro; d) risulterebbe viziato dal travisamento della prova dichiarativa proveniente dal menzionato teste B.B., l’affermata dipendenza dell’incidente occorso al C.C. dal suo indebito coinvolgimento, secondo una prassi “contra legem” invalsa sul cantiere, in una lavorazione che richiedeva specifiche competenze tecniche.

Ritiene il Collegio che la dedotta doglianza sia manifestamente infondata, posto che nel percorso argomentativo della Corte di appello non è dato rinvenire né contraddittorietà, né manifesta illogicità, né, tantomeno, travisamento di prove dichiarative.

Ciò perché i giudici di seconde cure, alla stregua di quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, sono legittimamente giunti alla conclusione che il menzionato B.B. – designato dal datore di lavoro quale preposto alla vigilanza sull’osservanza degli obblighi di legge da parte dei lavoratori – fosse persona del tutto priva di specifiche competenze, che si limitava, di fatto, a veicolare, sul cantiere, le direttive afferenti allo svolgimento dei lavori, impartite dall’odierno ricorrente A.A.E. o da suo padre.

Tale conclusione, basata sull’inidoneità del preposto come concretamente accertata in esito alla sua audizione, piuttosto che sulla qualifica di apprendista formalmente rivestita, rende evidente l’assenza, in capo al predetto, di efficaci poteri impeditivi di eventi lesivi in danno dei lavoratori, giustificando, ad un tempo, l’affermata responsabilità del datore di lavoro, in aderenza al consolidato insegnamento della Suprema Corte, secondo cui “In tema di infortuni sul lavoro, il preposto, titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità dei lavoratori, risponde degli infortuni loro occorsi in violazione degli obblighi derivanti da detta posizione di garanzia purché sia titolare dei poteri necessari per impedire l’evento lesivo in concreto verificatosi” (così: Sez. 4, n. 12251 del 19/06/2014, dep. 24/03/2015, De Vecchi e altro, Rv. 263004-01).

A fronte di un percorso motivazionale logico e coerente, qual è quello testé scrutinato, risulta poi irrilevante l’indebito riferimento alla delega di funzioni – invero mai effettuata dal datore di lavoro – rinvenibile nella decisione assunta dalla Corte territoriale.

Né, infine, si ritiene che l’argomentato in questione sia connotato dal vizio di travisamento della prova del pari denunziato, emergendo dalla consultazione degli atti che il teste B.B. ebbe effettivamente a riferire, in sede di escussione dibattimentale, che già in un’altra occasione si era tollerata o, comunque, non si era impedita la partecipazione del prestatore d’opera poi rimasto infortunato a lavorazioni che, per la loro intrinseca complessità, richiedevano specifiche competenze, nella specie mancanti.

Le esposte considerazioni consentono di ritenere insussistente anche il vizio di violazione di legge del pari dedotto con il motivo in disamina, essendosi acclarato che la Corte territoriale ha fatto puntuale applicazione del dato normativo in tesi violato e si è conformata, peraltro, all’univoca interpretazione che di esso ha costantemente offerto la giurisprudenza di legittimità.

3. Destituito di fondamento è il secondo motivo di ricorso, con cui ci si duole di violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 43 e 590, commi 1 e 3, cod. pen., nonché di vizio di motivazione per contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento della prova in punto di ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra la condotta serbata dal datore di lavoro e l’evento in concreto verificatosi, sostenendo che nella decisione della Corte territoriale, all’esito dell’erronea individuazione nel A.A. del soggetto deputato al governo del rischio correlato alla lavorazione, lo si sarebbe ritenuto penalmente responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore senza indicare, a fronte di un comportamento anomalo di quest’ultimo, la condotta alternativa lecita che, in tesi, avrebbe dovuto esser tenuta, senza sondare il profilo della concreta idoneità di tale condotta a prevenire l’evento e senza valutare l’effettiva possibilità, per il soggetto agente, di conformarsi alla regola cautelare.

Rileva al riguardo il Collegio che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non è dato riscontrare nell’apparato argomentativo a supporto della decisione assunta in grado di appello alcuna contraddittorietà o manifesta illogicità valevoli a inficiarne la tenuta, avendo la Corte territoriale esposto, con chiarezza e linearità, le ragioni dell’affermata rilevanza causale della condotta colposa del datore di lavoro, chiamato – come detto – a rispondere, sul piano penale, del sinistro occorso al lavoratore per aver, a monte, designato, in maniera imprudente e negligente, un preposto privo delle necessarie capacità professionali e, pertanto, inidoneo a svolgere, in sua vece, i richiesti compiti di vigilanza e per avere poi, in prima persona, quale soggetto in concreto obbligato all’espletamento di detta attività per effetto della previa designazione inidonea, omesso l’adozione di iniziative valevoli a impedire il verificarsi dell’evento, consentendo o, comunque, non impedendo, ancorché ne avesse la possibilità e, prim’ancora, l’obbligo, che all’effettuazione dell’operazione durante la quale ebbe a verificarsi il sinistro attendesse un prestatore d’opera privo delle richieste competenze.

Orbene, alla stregua di un tessuto argomentativo siffatto, appare di tutta evidenza la concreta idoneità impeditiva della condotta alternativa lecita, che, come chiarito dai giudici del merito, avrebbe dovuto consistere nell’impedire al C.C. di avvicinarsi al macchinario in fase di smontaggio.

Deve ritenersi, pertanto, insussistente il dedotto vizio motivazionale, posto che la decisione risulta sorretta, anche in parte qua, da argomentazioni logiche e rigorose e si conforma, inoltre, all’ermeneusi che la giurisprudenza di legittimità offre della normativa sostanziale riguardante la causalità colposa in materia di infortuni sul lavoro.

4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di Euro tremila.

P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Fonte CassazioneWeb

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