Cassazione Penale, sentenza n. 49593 del 30 ottobre 2018 – Infortuni mortali nei lavori autostradali. Importanza della formazione.

Cassazione Penale, sentenza n. 49593 del 30 ottobre 2018 – Infortuni mortali nei lavori autostradali. Importanza della formazione. Distacco illegitimo.

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza dell’11 marzo 2016, in parziale riforma della sentenza del 16 dicembre 2013 del Tribunale di Firenze, assolveva T.A. dal reato ascritto per non avere commesso il fatto e rideterminava la pena, ritenute le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata, per T.F. in anni tre e mesi dieci di reclusione e per A.A. e B.A. in anni due e mesi quattro di reclusione ciascuno, per i reati di cui agli artt. 113, 589, commi 1, 2 e 4 e 590, c. 3, cod. pen., per avere cagionato, per colpa generica e specifica, in violazione della normativa contro gli infortuni sul lavoro, ciascuno nelle rispettive qualifiche, la morte di C.R., M.G. e C.G., nonché per avere cagionato a LP.G. lesioni personali consistite in disturbo da stress postraumatico, ritenuto guaribile in un periodo di oltre tre mesi. La Corte d’Appello confermava la condanna degli imputati al risarcimento del danno, in solido con la responsabile civile T.A. Costruzioni Generali S.p.A. (oggi T.A. Holding S.p.A.), nei confronti della parte civile INAIL, alla quale veniva riconosciuta altresì una somma a titolo di provvisionale; nonché, per quanto qui di interesse, la condanna, a norma del d.lgs. n. 231/2001, della medesima società alla sanzione pecuniaria di 360.000,00 euro.

Il fatto veniva pacificamente ricostruito dai giudici di merito. Il 2 ottobre 2008, nel corso dei lavori per la realizzazione del Lotto 13 della Variante di Valico della Autostrada Al Firenze-Bologna, in Barberino di Mugello, lavori appaltati dalla Società Autostrade alla T.A. Costruzioni Generali S.p.A., ed in particolare durante l’esecuzione dei lavori di elevazione della pila n. 6 del viadotto Lora nel cantiere PC 13, i tre operai C.R., M.G. e C.G. perdevano la vita a causa di gravissimo trauma polifratturativo polidistrettuale dopo essere precipitati nel vuoto da un’altezza di circa 40 metri a seguito dello sganciamento della pedana sulla quale si trovavano, sganciamento causato dall’errato montaggio del sistema di ancoraggio PERI CB240, effettuato utilizzando, per il serraggio del cono, una vite di dimensioni inferiori, sia per lunghezza sia per diametro, a quelle prescritte, e ciò in quanto la barra Dywidag era penetrata eccessivamente nel cemento, a causa della mancanza, nel cono, della doverosa spina di battuta, a causa dell’usura o di una rottura. L’incidente provocava altresì un gravissimo disturbo da stress postraumatico in altro operaio, LP.G., che rimaneva in bilico sulla pedana attigua a quella caduta.

L’incidente, a seguito della complessa istruttoria di primo grado, veniva pacificamente ricostruito. La caduta della passerella su cui si trovavano gli operai si era verificata a causa dell’errato montaggio del suo sistema di ancoraggio, denominato PERI CB240, in particolare a causa dell’utilizzo di pezzi difettosi e conseguentemente montati in maniera errata. Tale sistema, utilizzato per accompagnare l’innalzamento della pila mano a mano che i vari conci di essa vengono formati ed impilati, prevede l’inserimento nel concio di cemento di un insieme di pezzi costituito da un cono e da una barra di acciaio di lunghezza predeterminata, denominata barra Dywidag, avvitata mediante una piastra, e l’inserimento su questo insieme, dopo la formazione del concio stesso, dell’ancoraggio vero e proprio, costituito da un rocchetto serrato nel cono con un bullone anch’esso di dimensioni predeterminate, calcolate per sorreggere, unitamente alla barra Dywidag, che funge da tirante, la passerella e gli operai che vi devono lavorare sopra.
3.1. Nel caso di specie, la barra Dywidag era stata inserita nel cono per una lunghezza eccessiva, probabilmente perché il cono risultava privo della spina di battuta, cosicché la barra era penetrata 35 mm oltre detta spina. In tal modo aveva invaso lo spazio in cui doveva essere avvitato il bullone, e gli operai, non riuscendo a serrare il tutto in maniera corretta, avevano utilizzato un bullone di dimensioni inferiori, sia quanto alla lunghezza, sia, soprattutto, quanto al diametro. Tale bullone di diametro inferiore, tuttavia, aveva anche un passo di filettatura diverso e quindi si era avvitato solamente per 1,7 mm, e non aveva retto, conseguentemente, al peso della passerella e degli operai, una volta che questa era stata agganciata al rocchetto. I giudici di merito, quindi, ritenevano che l’infortunio fosse avvenuto per due cause meccaniche concomitanti, ossia l’avvitamento eccessivo della barra Dywidag e l’utilizzo di un bullone non solamente troppo corto ma soprattutto di diametro inferiore a quello necessario.

Causa principale di questi errori veniva ritenuta la mancanza di idonea formazione del personale, il quale non aveva mai seguito alcun corso specifico su tale sistema di ancoraggio, risultando del tutto ignaro del suo funzionamento e delle sue corrette modalità di costruzione. A tale mancata formazione si aggiungevano poi anche la mancata fornitura dei pezzi prescritti e non usurati e l’impiego di modalità costruttive non conformi al manuale di istruzioni.

Quanto alle posizioni degli imputati, i giudici ritenevano responsabili dell’incidente T.F., A.A. e B.A., nonché, a norma del d.lgs. n. 231/2001, la T.A. Costruzioni Generali S.p.A. Il primo giudice, in questo confermato dalla Corte distrettuale, mandava invece assolti T.A. e C. F.; in appello, invece, veniva assolto anche T.A..

T.F., dirigente della T.A. S.p.A., veniva condannato in qualità di datore di lavoro delle persone offese. Giusta la formale, rituale, valida e dettagliata delega di funzioni rilasciata in data 27 settembre 2006 in suo favore dall’amministratore delegato e legale rappresentante della T.A. S.p.A, T.A., infatti, egli risultava dotato di poteri non limitati e di piena autonomia di gestione e di spesa in relazione all’unità produttiva corrispondente al Lotto 13, oggetto dell’appalto. Di tale unità produttiva, pertanto, doveva essere considerato vero e proprio datore di lavoro, dovendosi dunque ascrivere al T.F., oltre agli addebiti specifici che lo vedevano imputato quale dirigente, anche la violazione degli obblighi ricadenti sul datore di lavoro T.A.. In particolare, quindi, il T.F. veniva considerato responsabile, oltre che della violazione degli artt. 112, c. 1, 123, c. 1 e 127, c. 1, d.lgs. n. 81/2008, altresì di non avere fornito ai lavoratori addetti alla costruzione della pila alcuna informazione, formazione e addestramento circa le corrette regole di montaggio, utilizzo e smontaggio del sistema di ancoraggio PERI CB240; nonché di avere affidato i lavori in argomento senza tenere conto delle capacità e condizioni dei lavoratori impiegati in rapporto alla loro salute e sicurezza; nonché di non avere provveduto all’aggiornamento delle misure di prevenzione e sicurezza e di non avere messo a disposizione degli operai tutti i pezzi di montaggio propri del sistema, costringendoli ad utilizzare bulloni comunque presenti in officina.

A.A. e B.A. venivano condannati in qualità di datori di lavoro – il primo in senso sostanziale ed il secondo in senso formale – dell’operaio deceduto C.G.. Veniva infatti ritenuto dai giudici di merito che il B.A., amministratore della Manutenzione Strade S.r.l. e formale datore di lavoro del C.G., avesse fittiziamente distaccato il lavoratore, immediatamente dopo la sua assunzione, presso la A.A. S.r.l., società subappaltatrice di una parte dei lavori appaltati alla T.A. S.p.A. e della quale era amministratore l’A.A.. Il distacco veniva considerato illegittimo non ravvisandosi alcun interesse della società distaccante. Gli imputati, poi, avevano fraudolentemente somministrato il lavoratore alla T.A. S.p.A., nella cui diretta disponibilità veniva fatto passare, decedendo proprio durante lo svolgimento di lavori per quest’ultima società. La responsabilità di A.A. e B.A., appurata la posizione di garanzia di entrambi nei confronti del C.G., veniva ravvisata dai giudici nella mancanza di adeguata formazione ed informazione circa i lavori cui l’operaio sarebbe stato destinato e della cui tipologia sapevano o avrebbero dovuto sapere, nonché nell’avere consentito che venissero affidati alla persona offesa i lavori in argomento senza tenere conto delle sue capacità, competenze e condizioni. Nello specifico, all’A.A. veniva addebitato di avere lasciato che il proprio lavoratore venisse inviato in cantieri da lui mai esaminati e dei quali non conosceva la sicurezza, venendo adibito a lavori dei quali lo stesso A.A. non conosceva la natura. Al B.A., invece, veniva contestato il fatto di essersi del tutto disinteressato di controllare la sicurezza del cantiere in cui veniva fatto operare il proprio lavoratore.

Infine, la T.A. Costruzioni G. S.p.A. veniva ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo da reato di cui all’art. 25-septies del d.lgs. n. 231/2001, essendosi ritenuti sussistenti i requisiti soggettivi ed oggettivi di cui all’art. 5 del medesimo decreto a causa della commissione dei reati da parte del direttore tecnico/datore di lavoro T.F. in vantaggio dell’ente, ed essendosi accertata l’inesistenza di un valido modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi dell’art. 7, c. 2…….Fonte CassazioneWeb….. Photo by Kevin Bankston on Unsplash

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