Caduta di una gronda con infortunio mortale, Responsabilità del subappaltatore, del direttore dei lavori e del CSE

Cassazione Penale, sentenza n. 7850 del 4 marzo 2022 – Caduta di una gronda in cemento armato e infortunio mortale, Responsabilità del subappaltatore, del direttore dei lavori e del CSE.

 

1. La Corte d’appello di Milano, in data 27 ottobre 2020, ha parzialmente riformato nel trattamento sanzionatorio, e per il resto ha confermato, la sentenza con la quale il Tribunale ambrosiano, il 23 maggio 2019, aveva condannato (per quanto d’interesse in questa sede) L.G., I.M. e S.V. in relazione al delitto di omicidio colposo, con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestato come commesso in Milano il 27 maggio 2013. Ai predetti imputati il delitto é contestato in relazione al decesso di N.S., dipendente della ditta ….. S.r .l. , di cui …. era legale rappresentante con funzioni datoriali e che era stata scelta per l’esecuzione dei lavori edili di ampliamento di una villetta unifamiliare in regime di subappalto, sulla base di un contratto concluso con la ditta appaltatrice To. C. s.r.l. di P.N. (coimputato non ricorrente, nei cui confronti la condanna é passata in giudicato); la morte del lavoratore era stata cagionata dalla caduta di una gronda in cemento armato che, secondo l’imputazione, era in condizioni non stabili a cagione della difformità rispetto al progetto originale e che, al momento della rimozione dei puntelli, crollava e colpiva il ponteggio ove operava lo N.S., facendolo cadere al suolo e provocandogli così le gravi lesioni descritte in rubrica, che lo traevano a morte.
Del delitto rispondono il L.G., nella citata qualità datoriale; il I.M., quale coordinatore per la sicurezza nell’esecuzione dei lavori; il S.V., quale direttore dei lavori e responsabile della progettazione.
L’addebito mosso agli imputati, ritenuto fondato dalla Corte di merito, si basa sulla ritenuta precarietà della gronda, non collegata alla struttura e che non poteva reggere da sola, e sulla conseguente responsabilità sia del L.G. (quale esecutore dei lavori e soggetto responsabile della realizzazione della condotta, per avere omesso di adottare le necessarie cautele nella fase di disarmo delle armature delle gronde, nonché per avere redatto un POS affatto generico, con violazione degli articoli 96, comma 1, lett. G, e 145 comma 3, del D.Lgs. 81/2008), sia del S.V. (per non avere esercitato il doveroso controllo sulla realizzazione della gronda e sulla sua conformità al progetto, con violazione delle prescrizioni di cui agli artt. 2 e 3 L, 1086/1971 e 141 D.Lgs . 81/2008), sia del I.M. (per non avere coordinato correttamente il lavoro fra le imprese ed avere lasciato che la ditta esecutrice rimuovesse intempestivamente i puntelli, in violazione dell ‘art . 92, comma 1, lett. B, D.Lgs . 81/ 2008 ).

2. Avverso la prefata sentenza ricorrono il L.G., il I.M. e il S.V., con atti a firma dei rispettivi difensori.

3. Il ricorso del L.G. si articola in due motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, deducendo che il contratto di subappalto stipulato con l’appaltatore (il coimputato P.N., titolare della Torre Costruzioni) rivela la reale natura del rapporto, che era di fatto costituito dall’assunzione di due operai, ossia lo stesso L.G. e lo N.S., allo scopo di non versare i contributi previdenziali e scaricare dalle tasse gli stipendi. Dunque il L.G. non aveva alcuna autonomia rispetto al P.N. e non poteva prendere decisioni: anche quella di disarmare la gronda realizzata in modo pericoloso non era stata una scelta autonoma, ma era una decisione del P.N.. Per tali ragioni la genericità del POS si spiega con la genericità del contratto che legava il L.G. al P.N. . Sotto altro profilo il ricorrente evidenzia che le fotografie del cantiere dimostrano che l’attività di rimozione dei puntelli era iniziata già una settimana prima, e non era stata decisa quella mattina dal L.G. all’insaputa di tutti per guadagnare tempo, come si é voluto sostenere.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche in prevalenza sull’aggravante contestata: diniego non giustificato, atteso che la prevalenza delle attenuanti suddette é stata riconosciuta ai coimputati e non al L.G., sol perché questi ha due modesti precedenti penali (a fronte del fatto che anche il P.N. ha un precedente annotato sul certificato del Casellario giudiziale).

4. Il ricorso del I.M., corredato da una premessa narrativa in fatto, consta di cinque motivi.
4.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione per omesso esame, da parte della Corte di merito, delle critiche formulate con l’atto di appello. La sentenza impugnata si limita a fare un apodittico riferimento alla mancanza di coordinamento e all’omesso inserimento nel PSC delle modalità di eventuale rimozione dei puntelli, mentre non svolge alcuna considerazione circa l’abnormità della condotta della vittima e del suo datore di lavoro L.G., dando solo brevemente atto della ” subitaneità” e della imprevedibilità della rimozione dei puntelli, che pure avrebbero dovuto implicare l’assoluzione del geom. I.M.. Non ha esaminato la Corte di merito, pur a fronte di specifico richiamo in tal senso formulato con l’atto d’appello, la distinzione tra le aree di responsabilità e tra le posizioni di garanzia attribuibili ai singoli imputati. Scarica sentenza

Fonte: Cassazione Web

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