Cassazione Penale, sentenza n.11469 del 25 marzo 2021 – Infortunio a causa dell’uso improprio della gru durante le movimentazione e condanna per mancato coordinamento.

 

La seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: C. G. nato a P. il… avverso la sentenza del 15/11/2019 della CORTE APPELLO di L’AQUILA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere V. P.; Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020), il P.G., in persona del Sostituto Procuratore P. F. che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e il difensore del ricorrente Avv. XY, che ha insistito per l’accoglimento dello stesso.

RITENUTO IN FATTO

1. B. A., l’odierno ricorrente C. G. e B. A. T. venivano tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Lanciano per rispondere del delitto di lesioni personali colpose per avere, il B. A. quale titolare della ditta P.. , il C. G quale titolare della omonima ditta e il B. A. T. quale titolare della ditta A. W, cagionato, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonché in violazione della normativa antinfortunistica, lesioni personali a T. G., socio lavoratore della ditta A. W.; in particolare, si contestava al primo imputato la violazione dell’art. 26 co. 2 d.lvo n. 81/2008, al secondo ed al terzo la violazione degli artt. 26, 81 e 71 comma 4 lett. a) d.lvo n. 81/2008, in quanto facevano sì che T. G. si occupasse dello spostamento di una macchina denominata “centro di lavoro fresatrice automatica NH4000DCG” con l’ausilio del gruista D. N. e rimanesse colpito da una fascia in nylon agganciata alla sbarra di ferro; il tutto verificatosi in quanto i tre imputati, nelle qualità già precisate, non cooperavano all’attuazione delle misure di prevenzione o protezione previste per lo spostamento delle attrezzature di lavoro e non coordinavano gli interventi di prevenzione e protezione, informandosi reciprocamente sulle misure prescritte dai manuali d’uso e manutenzione delle attrezzature al fine di eliminare i rischi dovuti a interferenze tra i lavori delle diverse imprese; inoltre, il C. G e il B. A. T. non prendevano misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro fossero movimentate in conformità con il manuale di uso e manutenzione/installazione delle stesse, come prescritte dal costruttore nell’apposito manuale; così cagionando al T. G. lesioni personali consistite in, giudicate guaribili in giorni 90. Con sentenza del 21/11/2017 il Tribunale di Lanciano affermava la penale responsabilità dell’imputato C. G e lo condannava alla pena di mesi tre di reclusione, convertita nella pena pecuniaria di 22.500 euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali; assolveva B. A. e B. A. T. dalla medesima imputazione perché il fatto non sussiste; disponeva la trasmissione di copia degli atti al P.M. per procedere nei confronti di C. A per i reati di cui agli artt. 19 e 56 dl.vo n. 81/2008, 590 c.p. Pronunciando sul gravame proposto dall’imputato, con sentenza del 15/11/2019 la Corte di Appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rideterminava la pena in 1500 euro di multa e concedeva all’imputato il beneficio della non menzione della condanna sul certificato del casellario giudiziale e conferma nel resto.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il C. G, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. Con un unico motivo il ricorrente deduce inosservanza dell’art. 41, 2 comma c.p. e omessa pronuncia sul punto, interruzione del nesso causale per causa sopravvenuta, sufficiente da sola a determinare l’evento. La tesi proposta anche in questa sede è che la condotta arbitraria ed esorbitante del lavoratore D. N., dipendente della ditta C. G, avrebbe innescato un rischio nuovo, del tutto imprevedibile per il titolare della posizione di garanzia il quale deve essere esonerato da ogni responsabilità. La Corte d’Appello di L’Aquila, non avrebbe applicato correttamente l’art. 41, co. 2, cod. pen. secondo cui, le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. Si evidenzia in ricorso che, a pagina 8 della sentenza impugnata, la Corte territoriale afferma essere “fondata l’obiezione della difesa quando afferma che, contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, alla riunione del 17.5.2013 (prima dell’infortunio) non risulta dal relativo verbale in atti (fol. 1 produzioni difesa B. A.) la presenza del gruista D. N.i, il quale, del resto, quando ha fatto riferimento alle istruzioni ricevute dal C. A sulle modalità di aggancio del macchinario, ha riferito che ciò era avvenuto quattro, cinque giorni prima dell’incidente, nel corso di un suo accesso presso lo stabilimento della P.; ed è anche vero che, solo nel verbale relativo alla riunione di coordinamento, svoltasi dopo l’infortunio per programmare il nuovo spostamento del macchinario, si fa espresso riferimento alle indicazioni contenute nel manuale del costruttore ( ).” Ebbene, ci si duole che secondo la Corte territoriale tali circostanze non siano poi state ritenute sufficienti per escludere la responsabilità del datore di lavoro C. G, il quale “era tenuto a vigilare”. I giudici del gravame del merito avrebbero omesso di pronunciarsi su un capo essenziale della sentenza, in quanto il distacco della fascia di nylon agganciata alla sbarra di ferro, che ha provocato le gravi lesioni al T. G. si sarebbe verificato a causa dell’azione del dipendente D. N., il quale, in assoluta autonomia, senza informare minimamente il suo datore di lavoro, C. G, e su indicazione del C. A (preposto nonché responsabile della sicurezza della “P.”), avrebbe arbitrariamente iniziato le manovre di spostamento del macchinario, contravvenendo alle regolari modalità di sollevamento e spostamento indicategli dal C. G, concordate nel verbale di sopralluogo del 17.05.2013. nonché previste nel Piano Operativo di Sicurezza. Viene evidenziato inoltre che il lavoratore, in quanto esperto gruista, adeguatamente formato nonché RLS (Responsabile dei lavoratori per la sicurezza), ben sapeva quali erano le corrette modalità. Ciò – prosegue il ricorso- è emerso pacificamente durante l’istruttoria, in particolare durante l’audizione del D. N.(cfr. pag. 32 fonoregistrazione ud. 18.10.20 16) il quale ha ammesso che “40 5 giorni prima dell’incidente” (…)”sono andato lì dentro lo stabilimento a vedere il lavoro che bisognava fare, spostare la macchina” e ha incontrato il C. A il quale gli ha detto come bisognava spostare la macchina (pag.36, fono ud. 18.10.16). Il C. G non era presente e non è mai stato messo a conoscenza di tale scellerata modalità di manovra, del tutto ano- mala. In buona sostanza – conclude il ricorrente- la Ditta P. mentre nel sopralluogo del 17/5/2013, alla presenza del C. G, ufficialmente ha as- sunto l’impegno di “rendere pronta la macchina per il sollevamento e lo spostamento” successivamente ovvero “4 o 5 giorni prima dello spostamento” attraverso il C. A preposto e responsabile della sicurezza della P., disattendendo la fase di preparazione del macchinario che gli competeva, ha indicato le modalità per uno spostamento più celere direttamente al gruista della ditta C. G., D.N., e questi si è guardato bene dall’avvertire il suo datore di lavoro. Sarebbe perciò evidente che il giudice di appello non avrebbe considerato che l’azione, del tutto imprevedibile del D. N., indicatagli dal C. A, avrebbe cagionato l’evento dannoso senza che il C. G potesse in alcun modo impedirlo. Se il D. N. si fosse attenuto alle ordinarie modalità di spostamento, come aveva sempre fatto, nulla sarebbe accaduto. Infatti, come si evince a pag. 22 del verbale udienza 18/10/2016, lo stesso D. N. ha riferito testualmente di avere già spostato la stessa macchina in precedenza, all’incirca un anno prima, quando l’hanno trasportata dall’esterno dell’azienda all’interno, utilizzando la metodologia corretta riportata nel libretto di istruzioni della macchina stessa. Quindi – si domanda il difensore ricorrente come avrebbe potuto il C. G minimamente immaginare che avrebbero usato una metodologia diversa ed ab- norme? Viene sottolineato che è vero che il compito del datore di lavoro è quello di evitare che si verifichino eventi lesivi dell’incolumità fisica intrinsecamente connaturati all’esercizio dell’attività lavorativa, anche nell’ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti a eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavora- tori subordinati, ma è anche vero che le recenti pronunce di legittimità hanno posto un limite alla responsabilità del datore di lavoro. Secondo gli ultimi orientamenti, infatti, il datore di lavoro è esonerato da responsabilità quando, ex art. 41, 11 comma c.p., il nesso causale tra la sua condotta e l’evento lesivo, è interrotto da una causa sopravvenuta, sufficiente da sola a determinare l’evento. In particolare “tale interruzione del nesso causale è ravvisabile qualora il lavoratore ponga in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali è addetto e incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non osservi precise disposizioni antinfortunistiche, ponendo in essere un comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro” (il richiamo è a Sez. 4, n. 31615/2018). In buona sostanza, la tesi riproposta è che il D. N., avrebbe arbitrariamente posto in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali era addetto, non osservando le precise disposizioni indicate nel Piano Operativo di Sicurezza nonché nel verbale di sopralluogo del 17.05.2013, ponendo in essere un comportamento imprevedibile ed al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte del datore di lavoro C. G, facendo sì che la persona offesa rimanesse vittima delle lesioni di cui al capo di imputazione. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l’udienza camerale senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020), il che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e il difensore del ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento integrale dello stesso, riportandosene ai motivi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

2. Per quello che in questa sede rileva, va evidenziato in fatto che, come si evince dalle sentenze di merito, l’infortunio che ha portato all’imputazione si è verificato il 25/5/2013. all’interno dello stabilimento della ditta “P. “, in Lanciano, durante le operazioni di spostamento-e successivo riposizionamento di un macchinario, del peso di circa 10 tonnellate; dette operazioni erano affidate alla ditta “C. G”, il cui legale rappresentante è l’odierno ricorrente, mentre la ditta “A. W.”, che si occupava della manutenzione delle attrezzature presenti all’interno dello stabilimento, era incaricata di sovrintendere alle operazioni di preparazione e successivo riavvio del macchinario, una volta terminato lo spostamento. E’ accaduto che, durante le operazioni di spostamento del macchinario, il lavoratore T. G. è stato violentemente attinto al volto ed al corpo da una fascia elastica in nylon, utilizzata per imbragare il macchinario medesimo, che si è improvvisamente sfilata dalla barra di ferro posta al di sotto dello stesso, alla quale era stata allacciata con l’estremità inferiore munita di “occhiello”; a causa del colpo ricevuto, il T. G. ha riportato le gravi lesioni descritte in imputazione. Quanto alla dinamica dell’evento, il giudice di primo grado richiamava le deposizioni della persona offesa e di D. N., gruista della ditta C. G che aveva provveduto alle operazioni di sollevamento del macchinario, nonché gli accertamenti svolti nell’immediatezza dai Carabinieri e dal personale del Dipartimento di Prevenzione della A.S.L. di Lanciano e rilevava che l’infortunio si era verificato in quanto le operazioni di sollevamento erano state eseguite non rispettando le specifiche indicazioni fornite dal costruttore nel manuale di uso e manutenzione allegato in atti (produzioni P.M. udienza del 3.3.2016). In particolare, secondo le indicazioni del costruttore, le funi o i cavi di sollevamento dovevano essere agganciati, nella parte superiore, in corrispondenza dei punti ed e, nella parte inferiore, in corrispondenza del punto; era accaduto, invece, che, per velocizzare le operazioni e su espressa indicazione da parte di C. A. preposto nonché responsabile della sicurezza della P., il macchinario non era stato agganciato, nella parte inferiore, in corrispondenza del punto, ma si era fatto ricorso ad una barra di ferro da inserire nel pianale, evidentemente non idonea a garantire lo spostamento del macchinario in condizioni di sicurezza, tanto che una delle estremità inferiori delle fasce elastiche, non fissate ma semplicemente infilate ai lati della barra, si era sganciata ed aveva colpito il T. G. Nei giorni successivi all’infortunio, l’operazione di spostamento del macchinario era stata poi ripetuta, questa volta garantendo l’osservanza delle indicazioni fornite dal costruttore ed era stata completata in condizioni di sicurezza e senza alcun rischio per gli addetti; ciò a riprova della assoluta inidoneità e pericolosità del sistema adottato il giorno dell’evento. Esclusa già all’esito del giudizio di primo grado la responsabilità degli originari coimputati B. A. e B. A. T.. a diverse conclusioni pervenivano i giudici di merito con riferimento alla posizione dell’imputato C. G, titolare della omonima ditta incaricata dalla P. di procedere allo spostamento del macchinario. Quest’ultimo non solo aveva preso parte attiva alla riunione preliminare del 17.5.2013 nel corso della quale era stata concordata con il C. A la scorretta procedura di sollevamento del macchinario, ma aveva, altresì, omesso di vigilare affinché venisse rispettato il Piano Operativo di Sicurezza, che lui stesso aveva redatto, nel quale era stata prevista tutt’altra procedura relativamente a detta specifica operazione; nel citato documento, infatti, sebbene fosse stata prevista l’esecuzione del sollevamento mediante una imbracatura costituita da funi in nylon e non da funi metalliche, era stata espressamente contemplata la necessità di assicurare il perfetto bilanciamento del carico, allo scopo di evitare lo sfilamento dello stesso, e la necessità che i mezzi di sollevamento e trasporto venissero scelti “in modo da risultare appropriati, per quanto riguarda la sicurezza, alla natura, alla forma e al volume dei carichi al cui sollevamento e trasporto sono destinati”, prevedendosi, in particolare “nell’imbraco a cappio (utilizzato per infilare le funi alla barra di ferro) occorre che il peso sia bilanciato al fine di evitare lo sfilamento e la caduta del carico”. E dette condizioni di sicurezza, come rilevato sin dalla sentenza di primo grado, non erano state osservate, in quanto le estremità inferiori delle funi elastiche erano state semplicemente inserite in una unica barra di ferro posizionata sul pianale inferiore del macchinario da sollevare e riposizionare, con ciò contravvenendo non solo alle specifiche indicazioni contenute nel manuale d’uso presente in azienda (che prevedeva espressa- mente che l’aggancio delle funi avvenisse in tre specifici punti del macchinario previsti dal costruttore), ma soprattutto ai più elementari principi della fisica, tenuto conto del rilevante peso del macchinario (10 tonnellate), che, in quanto non adeguatamente bilanciato, aveva provocato lo sganciamento della fune elastica, che aveva colpito il lavoratore T.

3. I motivi proporsi sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile. Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata. Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità. La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento im- pugnato la tesi oggi riproposta, evidenziando come, se l’infortunio si è verificato a causa delle scorrette modalità di spostamento del macchinario, in quanto eseguite in violazione delle specifiche indicazioni fornite dal costruttore e delle stesse indicazioni contenute nel Piano Operativo di Sicurezza predisposto dal C. G, è evidente che quest’ultimo, titolare della omonima ditta incaricata di eseguire tale operazione, deve esserne chiamato a rispondere. Nella sentenza impugnata viene dato il giusto risalto al fatto che, nel verbale sottoscritto anche dall’odierno imputato relativo alla riunione del 17.5.2013, finalizzata proprio alla programmazione dell’intervento di spostamento del macchina- rio (eseguito il giorno dell’infortunio) , il C. G ha espressamente “sottolineato di conoscere bene la realtà dello stabilimento e che il personale operativo ha già effettuato altre volte questo intervento presso lo stabilimento P.” (cfr verbale in atti). Il D. N., del resto, ha espressamente riferito che, il giorno dell’infortunio, avevano agganciato correttamente il macchinario nella parte superiore, ai punti ed indicati nel manuale del costruttore ma non nel punto , in quanto detto punto della macchina non era stato liberato dal pannello di copertura (cosa che sarebbe stata fatta, invece, fatta in occasione del secondo intervento, correttamente eseguito); dimostrando, dunque, di conoscere bene quali fossero le corrette modalità di aggancio del macchinario. E, come si è detto, nel Piano Operativo di Sicurezza predisposto prima dell’infortunio dal C. G, era stata espressamente contemplata la necessità di assicurare il perfetto bilanciamento del carico, allo scopo di evitare lo sfilamento dello stesso, e la necessità che i mezzi di sollevamento e trasporto venissero scelti in modo da risultare appropriati, per quanto riguarda la sicurezza, alla natura, alla forma e al volume dei carichi al cui sollevamento e trasporto sono destinati.

4. Logica e corretta in punto di diritto è allora la conclusione cui sono per- venuti i giudici di merito che il C. G, datore di lavoro del gruista D. N., in- caricato di eseguire le complesse operazioni di spostamento del macchinario, e principale destinatario dei precetti antinfortunistici, era tenuto a vigilare sulla corretta esecuzione della procedura e sul rispetto, non solo delle specifiche indicazioni fornite dal costruttore della macchina, che era evidentemente tenuto a conoscere, ma anche delle misure di prevenzione previste dal Piano Operativo di Sicurezza da lui stesso redatto. In tale Piano Operativo di Sicurezza, peraltro, come ricordano i giudici del gravame del merito, era stato espressamente previsto che dovessero essere preventivamente allontanate le persone dal raggio di influenza del mezzo di sollevamento (pag. 25 del P.O.S), mentre il lavoratore T. G. si trovava in quel raggio di influenza, tanto da essere colpito da una delle funi elastiche che imbracavano il macchinario; e, dunque, anche sotto detto ulteriore profilo, il C. G è venuto meno ai suoi obblighi di vigilanza. La sentenza impugnata si colloca, pertanto, nel solco della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. il 2015, Ottino, Rv. 263200). E, ancora, va qui ribadito che, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (così questa Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253850 in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nono- stante fosse stata dedotta l’esistenza di un preposto di fatto). Il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comporta- mento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (vedasi sul punto Sez. 4, n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222). Il che, con tutta evidenza non appare accaduto nel caso che ci occupa. Costante giurisprudenza di legittimità, ha affermato il principio che, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l’osservanza delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (così, ex multis, Sez. 4 n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365, che, in applicazione del principio di cui in massima ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità – in ordine al reato di cui all’art. 590, comma terzo, cod. pen. – dell’imputato, legale rappresentante di una s.a.s., per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale; conf. Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. il 2015, Bonelli Rv. 261946 in un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l’esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere). Non è configurabile, in altri termini, la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l’infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche da- gli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497). Ciò perché il datore di lavoro quale responsabile della sicurezza gravato non solo dell’obbligo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente la loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 cod civ., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei pre- statori di lavoro” (vedasi anche questa Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. il 2015, Ottino, Rv. 263200). E, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile Sez. 4, n. 4325 del 27/10/2015 dep. il 2016, Zappalà ed altro, Rv. 265942). Di rilievo anche il dictum di Sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018 dep. il 2019, Musso, Rv. 275017 che ribadisce che la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell’ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (in quel caso la Corte di legittimità ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all’interno della macchina stessa anziché utilizzare l’apposito palanchino di cui era stato dotato). Ribadendo il concetto di “rischio eccentrico” altra recente pronuncia (Sez. 4 n. 27871 del 20/3/2019, Simeone, Rv. 276242) ha puntualizzato che, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un “rischio eccentrico”, con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in es- sere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l’evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (si trattava di un caso di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel POS e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l’assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato).

5. Il reato che ci occupa, ad oggi non è prescritto, dovendosi tener conto della sospensione della prescrizione dal 1/12/2015 al 3/3/2016 per il rinvio dell’udienza a seguito dell’astensione degli avvocati e dell’ulteriore sospensione exart. 83 d.l. 17 marzo 2020, n. 18 convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile2020, n. 27.In ogni caso non si sarebbe potuto porre in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv.217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n.23428 del 2/3/2005, Bracale, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, rv. 256463).

6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Fonte Cassazione Web

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