Cassazione Penale, sentenza n. 9911 del 12 marzo 2021  – Mancanza di impalcature e ponteggi per eliminare i pericoli di caduta dall’alto e omissione della verifica sulle condizioni di sicurezza dei lavori affidati.

 

Con sentenza del 13 luglio 2020, il Tribunale di Foggia ha condannato l’imputato alla pena di euro 2.500,00 di ammenda, per il reato di cui agli artt. 122 e 159, comma 2, lettera a), del D.lgs. n. 81 del 2008, perché, nella sua qualità di Amministratore Unico della “C. s.r.l.” e dunque datore di lavoro, all’interno di un cantiere per la realizzazione di una palazzina, per lavori eseguiti ad un’altezza di metri 2,5 e 3, ometteva di adottare adeguatamente impalcature o ponteggi  idonee opere provvisionali, comunque, precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone o di cose (capo a), e per il reato di cui agli artt. 97, comma 1, e 159, comma 2, lettera a), del D.lgs. n.81, del 2008, perché, nella stessa qualità e nello stesso cantiere, ometteva di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati, relative ai pericoli di caduta dall’alto, anche in relazione alla presenza di altre imprese esecutrici (capo b).
Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
Con un primo motivo di doglianza, si censura la carenza di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Con un secondo motivo di ricorso, si deducono vizi di motivazione in ordine alla responsabilità penale, nonché vizi della motivazione, in relazione al travisamento di una prova decisiva per violazione dei canoni di valutazione ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen.
A parere della difesa, i giudici di merito avrebbero errato nell’attribuire rilevanza preponderante alla sola istruttoria dibattimentale, trascurando altri elementi emergenti dalle risultanze processuali; in particolare non si sarebbe considerato il verbale di riunione di coordinamento prodotto dalla difesa, erroneamente ritenuto dal Tribunale irrilevante ed ininfluente, dal quale – secondo la prospettazione difensiva – si evinceva, non solo l’esistenza di misure di sicurezza idonee ad evitare eventuali infortuni sul lavoro, ma soprattutto il fatto che l’imputato si era impegnato a verificare, unitamente al coordinatore per la sicurezza, l’esatta esecuzione delle misure impartite, ed appresa la difformità, aveva notificato all’impresa affidataria ed esecutrice di provvedere ad interventi correttivi. Tenuto conto della decisività del documento prodotto, il giudice avrebbe dovuto riconoscere la carenza dell’elemento soggettivo e oggettivo dei reati contestati, perché l’imputato, non solo non aveva commesso i fatti, ma aveva posto in essere ogni azione diretta ad evitare il persistere delle difformità rilevate.
Con il terzo e quarto motivo di ricorso – che possono essere trattati congiuntamente, perché afferiscono ad analoghe censure – si deducono la nullità della sentenza, per mancata acquisizione di una prova decisiva e rilevante ai fini della decisione, nonché vizi di motivazione in relazione all’ordinanza con la quale era stata rigettata la richiesta di acquisizione al fascicolo dibattimentale della documentazione prodotta, rilevante ai fini del decidere.
Nello specifico, la difesa si duole, sia della mancata acquisizione del già richiamato verbale di riunione di coordinamento dell’8 luglio 2016, sia del mancato espletamento della prova orale sollecitata ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. rappresentata dall’escussione teste P. il quale – sostiene la difesa – si sarebbe dovuto considerare decisivo. Difatti, tale teste – in qualità di coordinatore per la sicurezza – avrebbe dato conferma dell’avvenuta notificazione d’intimazione al legale rappresentante pro-tempere della ditta sub-appaltatrice, risultando tale accertamento dirimente ai fini della responsabilità penale in capo all’imputato. A ciò il ricorrente aggiunge che l’ordinanza con il quale si è proceduto al rigetto di tale richiesta offra una motivazione soltanto apparente, in violazione con la norma che impone l’obbligo motivazionale dei provvedimenti giurisdizionali.
2.4. Con il quinto motivo di doglianza, si deduce la violazione degli artt. 40, secondo comma, 41, primo comma, e 43, cod. pen. Si lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto che spettasse all’imputato verificare, in veste di amministratore unico della ditta appaltatrice e dunque datore di lavoro, la corretta adozione di ponteggi o di altre opere idonee a prevenire il rischio di caduta dall’alto di persone o cose. La sentenza, però, ometterebbe di considerare la presenza di un’altra ditta effettiva esecutrice dei lavori, in base a regolare contratto di subappalto; sicché la responsabilità penale rimarrebbe esclusivamente in capo al responsabile della sicurezza del cantiere, mentre non graverebbero sull’imputato gli obblighi di cautela discendenti dalle norme riportate nei capi d’imputazione.
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo di doglianza – riferito al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche – è inammissibile per difetto di specificità.
Preliminarmente, va ricordato che la concessione delle attenuanti generiche dipende da un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, che deve motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo (ex plurimis, Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737; Sez. 1, n. 46954 del 04/11/2004, Rv. 230591). E va ribadito il principio secondo cui la concessione delle circostanze attenuanti generiche può essere motivata implicitamente o con formule sintetiche (ex plurimis, Sez. 4, n._ 23679 del 23/04/2013, Rv. 256201), ove si dia dimostrazione di avere valutato la gravità del fatto, che è uno degli indici normativi per la determinazione del trattamento sanzionatorio (ex plurimis, Sez. 3, n. 11963 del 16/12/2010, dep. 2011, Rv. 249754).
Nel caso di specie, la motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi implicita nel giudizio, formulato con espressione sintetica dalla sentenza impugnata, concernente “la valutazione dei parametri di cui all’art. 133, cod. pen. e la congruità della pena determinata”, evidentemente fondato sul grado di gravità della condotta posta in essere dal ricorrente. Tanto premesso, deve altresì rilevarsi che la censura formulata è del tutto generica, non indicando – neanche in via di mera prospettazione – alcun elemento che, se valutato, avrebbe potuto portare al riconoscimento delle attenuanti in esame.
Il secondo motivo di ricorso – riferito sostanzialmente all’erronea valutazione della prova documentale – è anch’esso inammissibile.
Va ricordato, preliminarmente, che – visti i limiti del giudizio di legittimità fissati dall’art. 606 cod. proc. pen. – non possono offrirsi documenti in esame alla Corte di cassazione affinché convalidi ovvero smentisca le valutazioni in fatto operate dal giudice di merito.
1.2.1. In ogni caso, nella fattispecie in esame, il verbale della riunione di coordinamento – documento dal quale, a parere della difesa, si evinceva, non solo il riscontro delle difformità, ma anche l’ordine impartito ai soggetti interessati e imprese affidataria/esecutrice di predisporre i relativi interventi correttivi – non appare, in realtà, decisivo, né isolatamente né complessivamente considerato; sicché non può parlarsi di travisamento della prova, che invece si ha soltanto quando l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio trascurato (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Rv. 257499; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Rv. 237207). Infatti, in base ai principi regolatori in materia antinfortunistica, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo, non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014, dep. 2015, Rv. 263200). Peraltro, in ordine alla ripartizione degli obblighi di prevenzione tra le diverse figure di garanti nelle organizzazioni complesse, la giurisprudenza di legittimità ha definitivamente chiarito che gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere trasferiti (con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante), a condizione che il relativo atto di delega del D.lgs. n.81 del 2008, ex art. 16, riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, che sia espresso ed effettivo, non equivoco, ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261108). Anche più di recente, del resto, si è affermato il principio in materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, diretto precipitato di quelli già richiamati, secondo cui, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (Sez. 4, n. 6507, dell’11/01/2018, Rv. 272464; già in precedenza cfr. Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Rv. 253850. Proprio con riferimento alla esatta individuazione del garante in tali specifiche ipotesi, si è precisato, inoltre, che il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli (cfr. Sez. 4 n.26294 del 14/03/2018, Rv. 272960) .
Nel caso di specie, non vi è alcun dubbio che il relativo verbale di riunione e di coordinamento non può essere in alcun modo qualificato come delega ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 81, del 2008; né, a ben vedere, la difesa intende qualificarlo in tal senso. Pertanto, come correttamente ritenuto dal giudice di merito, tale documento è ininfluente, perché assolutamente inidoneo ad escludere la posizione di garanzia autonomamente riconoscibile in capo all’imputato: nella situazione descritta dalla difesa, l’eventuale responsabilità di terzi soggetti (quali i responsabili delle imprese affidatarie ed esecutrici dei lavori, in base a subappalto) avrebbe potuto, tutt’al più, concorrere con quella del titolare, ma mai esonerare costui dall’onere di controllare gli adempimenti degli obblighi di sicurezza; adempimenti che costituiscono la precondizione per l’operatività del cantiere. E la presenza di una ditta esecutrice dei lavori non spoglia il datore di lavoro committente dall’onere di controllare gli adempimenti degli obblighi delle condizioni di sicurezza, perché questi discendono dall’art. 26 del d.lgs. n. 81 del 2008, il quale prevede che il datore di lavoro committente promuove la cooperazione e il coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dei rischi cui sono esposti i lavoratori, anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione complessiva dell’opera.

Il terzo e il quarto motivo di ricorso – riferiti alla mancata acquisizione della prova documentale di cui sopra e al mancato espletamento della prova orale sollecitata dalla difesa – sono anch’essi inammissibili.
Quanto al primo profilo, va premesso che il vizio di mancata assunzione di prova decisiva consiste in una sorta di errar in procedendo, ravvisabile solamente quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le argomentazioni formulate in motivazione a sostegno ed illustrazione della decisione, risulti tale che, se esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia: perché si configuri, deve cioè necessariamente sussistere la certezza della decisività della prova, ai fini del giudizio e dell’idoneità dei fatti che ne sono oggetto, ad inficiare le ragioni poste a base del convincimento manifestato dal giudice (cfr. Sez. 6, n. 14916 del 25/03/2010 Rv. 246667; sez. 2, 16354/2006, Rv. 234752; 2380/1995, Rv. 200980).
Nel caso di specie, come spiegato nel paragrafo precedente, la mancata acquisizione della prova documentale prodotta dalla difesa è stata correttamente ritenuta dal giudice di merito irrilevante ai fini del decidere, in quanto in radice inidonea ad escludere la responsabilità penale, sulla base della stessa prospettazione difensiva.
1.3.2. Le considerazioni che precedono si attagliano anche alla censura relativa al mancato espletamento della prova orale, sollecitata dalla difesa ai sensi dell’art. 507, cod. proc. pen. Tale prova aveva, infatti, per oggetto la conferma di un fatto che – come si è visto – è irrilevante ai fini dell’esclusione della responsabilità penale, trattandosi dell’avvenuta notificazione d’intimazione al legale rappresentante pro-tempore della ditta sub-appaltatrice, insufficiente a far ritenere il rispetto delle norme di sicurezza. Anche a prescindere da quanto precede, deve in ogni caso rilevarsi che il giudice, ritenendo completa l’istruttoria dal punto di vista delle acquisizioni probatorie, ha rigettato la sollecitazione delle difese ad assumere la testimonianza indicata ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. facendo corretta applicazione del principio, costantemente espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, a mente del quale il mancato esercizio del potere del giudice del dibattimento di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova a norma dell’art. 507 cod. proc. pen., non richiede un’espressa motivazione, quando dalla effettuata valutazione delle risultanze probatorie possa implicitamente evincersi la superfluità di un’eventuale integrazione istruttoria (ex plurimis, Sez. 4, n. 8083 del 08/11/2018, dep. 25/02/2019, Rv. 275149; Sez. 4, n. 7948 del 03/10/2013, dep. 2014, Rv. 259272; Sez. 6, n. 24430 del 16/02/2010, Rv. 247366).
1.4. L’ultimo motivo di ricorso – riferito sostanzialmente alla mancanza di responsabilità in capo all’imputato per la presenza di altra ditta effettiva esecutrice dei lavori, in base a regolare contratto di subappalto – è inammissibile.
È sufficiente richiamare, sul punto, le osservazioni già svolte in ordine alla mancanza di delega liberatoria e alla compresenza di obblighi di garanzia in capo a più soggetti, il cui adempimento non consiste nella formulazione di ordini o direttive dall’uno all’altro di tali soggetti, ma nell’effettiva predisposizione delle misure di sicurezza che è condizione preventiva e necessaria per l’esercizio del cantiere.

Il ricorso deve essere, dunque, dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Fonte: CassazioneWeb

Nessun commento

Spiacenti, non è possibile inserire commenti adesso

logo

S&L Srl

Via G. Bovini 41

48123 Ravenna


P.IVA 02051500391

Cap.Soc. € 10.000,00

Reg.Imp. RA n.167253 R.E.A. 167253


Copyright © 2019 www.sicurezzaoggi.com

All rights reserved

Contatti

Email: info@sicurezzaoggi.com

Tel.: +39 0544 465497

Cell.: +39 333 1182307

Fax: +39 0544 239939