Cassazione Penale, sentenza n. 9450 del 7 marzo 2023-Rischio connesso all’attività di stoccaggio. DVR e formazione.

 La Corte d’appello di Trieste, con la pronuncia indicata in epigrafe e ribaltando la sentenza assolutoria di primo grado, ha condannato V.G., amministratore unico di «P. C. s.r.l.», per lesioni personali gravi in offesa di un lavoratore subordinato commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
In particolare, L.S., intento a espletare le proprie mansioni di stoccaggio di materiale, ha provveduto a spacchettare un pacco di travi eliminando le relative fascette mediante un profilo in ferro, in luogo delle apposite forbici, assumendo, rispetto al pacco in oggetto, una posizione non di sicurezza. Sicché, prosegue il giudice d’appello, caduta una trave dopo l’eliminazione di una delle due fascette e per il non corretto posizionamento della seconda fascetta, il lavoratore ha riportato la frattura del piede con conseguente accertamento della responsabilità in capo all’imputato in ragione della mancata specifica previsione del relativo rischio nel DVR, cui ha provveduto solo all’esito delle successive prescrizioni impartitegli.

2. Avverso la sentenza d’appello l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).


2.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce l’inosservanza dell’art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen.
La Corte territoriale non avrebbe disposto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, mediante nuova escussione del testimone (il funzionario «SPreSal» S. F.), in ipotesi di giudizio di secondo grado celebrato previo appello del Pubblico Ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della (medesima) prova dichiarativa, decisiva in quanto inerente alla informazione e formazione del lavoratore circa i rischi specifici connessi all’attività di stoccaggio del materiale in oggetto. Il giudice d’appello avrebbe in particolare motivato la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale argomentando dal travisamento della detta prova dichiarativa da parte del giudice di primo grado, che avrebbe attribuito al testimone dichiarazioni, in realtà non rese, circa l’avvenuta informazione e formazione del lavoratore in ordine ai rischi specifici. Nel motivare nei termini di cui innanzi, continua il ricorrente, sarebbe in realtà incorsa la stessa Corte territoriale nel travisamento della medesima prova laddove avrebbe dato atto che il testimone «non ha mai parlato di formazione del lavoratore». Ciò in quanto, come emergerebbe dal verbale dell’udienza del 24 giugno 2020, il testimone avrebbe non solo confermato la sorveglianza sanitaria con giudizio di idoneità alla mansione specifica ma anche l’acquisizione della documentazione in merito all’adeguata formazione tanto generale che specifica.

2.2. Il travisamento della prova nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale, poi, per il secondo motivo di ricorso, determinerebbe il vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui si argomenta la responsabilità dell’imputato, oltre che in ragione dell’omessa predisposizione di un idoneo DVR, dall’omessa informazione e formazione del lavoratore circa la specifica attività di stoccaggio.

2.3. La Corte d’appello, per la terza doglianza, non avrebbe comunque reso una motivazione rafforzata, nonostante il ribaltamento della sentenza assolutoria. I giudice d’appello non si sarebbe confrontato con l’iter logico¬ giuridico sotteso alla sentenza di primo grado con particolare riferimento: al fattore occulto inseritosi nella seriazione causale dell’evento, consistente nell’errata legatura del pacco di travi; all’abnorme condotta colposa del lavoratore (operante con strumento non idoneo e senza osservare la dovuta posizione di sicurezza), tale da provocare conseguenze imprevedibili (la caduta delle travi), e al conseguente ragionevole dubbio circa l’idoneità di un DVR a evitare la concretizzazione del rischio specifico.

3. Hanno concluso per iscritto, ex art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, la Procura generale della Repubblica presso la Suprema Corte, nella persona del Sostituto Procuratore Francesca Costantini, nel senso del rigetto del ricorso, e la difesa dell’imputato chi! ha insistito nell’accoglimento delle censure.

1. Il ricorso è infondato.

2. I primi due motivi, con i quali si deducono la violazione dell’art. 603 comma 3-bis, cod. proc. pen., in relazione alla testimonianza del funzionario «SPreSal » Salvatore F. e il travisamento della detta prova assunta in primo grado, sono suscettibili di trattazione congiunta in ragione della connessione delle relative questioni.

2.1. In primo luogo, occorre ribadire che il giudice d’appello che intenda procedere alla reformatio in peius di una sentenza assolutoria di primo grado, emessa all’esito di giudizio ordinario o abbreviato, non ha l’obbligo di rinnovare la prova dichiarativa decisiva qualora e erga che la lettura della prova compiuta dal primo giudice sia stata travisata per omissione, invenzione o falsificazione (ex plurimis: Sez. 2, n. 5045 del 17/11/2020, dep. 2021, Fano, Rv. 280562, soprattutto in motivazione, che ha esteso la portata del principio anche alla fattispecie caratterizzata dall’assoluzione del primo giudice che si fondi su un errore di diritto concernente la valutazione della prova dichiarativa; Sez. 6, n. 16501 del 15/02/2018, Portaro, Rv. 272886; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269786).

Orbene, la Corte territoriale ha mostrato corretta applicazione del principio di cui innanzi laddove ha argomentato (pag. 5 della motivazione) la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale dal travisamento della prova da parte del giudice di primo grado, sostanzialmente operato per invenzione, avendo il testimone solo riferito in merito alla formazione del lavoratore e non in ordine a quella inerente alla specifica attività di stoccaggio delle travi mediante spacchettamento.

2.2. È parimenti infondata la seconda censura, deducente il travisamento della medesima prova da parte del giudice d’appello (ancorché in termini inversi rispetto al ritenuto travisamento operato dal giudice di primo grado), al netto del difetto di specificità, in termini di c.d. «autosufficienza», in ragione della trascrizione di meri e inconducenti stralci della deposizione di cui al verbale d’udienza del 24 giugno 2020 oltre che dell’omessa allegazione dell’atto e della sua puntuale indicazione ai fini della necessaria allegazione materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (per il difetto di specificità, in termini di «autosufficienza», con particolare riferimento alla censura deducente il travisamento della priva, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7, comma 1, d.lgs. n. 11 del 2008, ex plurimis, Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, dep. 2021, Cossu, Rv. 280419; si veda altresì sul punto Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432).

Nel merito cassatorio, occorre in particolare rilevare l’assenza di decisività, nella specie, della prova il cui significante, a dire del ricorrente, sarebbe stato distorto dalla Corte territoriale.

Il giudice d’appello, in quanto sul punto sollecitato dall’impugnante, ha correttamente proceduto a valutare la prova in oggetto, argomentandone il significato in termini di omessa formazione e informazione in merito agli specifici rischi inerenti all’attività di stoccaggio delle travi, ma la detta circostanza non è decisiva per la tenuta logica e per l’intera coerenza della motivazione, con conseguente irrilevanza del dedotto travisamento (per la decisività della prova limitando i riferimenti a talune tra le più recenti: Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085).

La circostanza in esame, difatti, non introduce profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo della sentenza impugnata. Essa, a fronte di una imputazione prospettante il profilo di colpa inerente all’omessa predisposizione di un idoneo documento di valutazione rischi (c.d. «DVR»), con riferimento allo specifico rischio connesso all’attività di stoccaggio di travi previo spacchettamento, ha coerentemente e logicamente fondato il giudizio di responsabilità dell’imputato proprio sull’inidoneità del DVR con riferimento al rischio specifico, concretizzatosi nell’evento lesivo, recuperandone la valenza sostanziale di documento preordinato all’individuazione dei rischi volta alla concreta adozione di misure di prevenzione e protezione.

In tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro, difatti, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l’obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del d.lg. n. 81 del 2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (ex plurimis: Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261109).

3. Infondato si mostra infine il terzo motivo di ricorso, deducente l’omessa motivazione c.d. «rafforzata» del ribaltamento dell’esito assolutorio di primo grado.

3.1. Diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, difatti, la Corte territoriale si è confronta con l’iter logico-giuridico sotteso alla sentenza assolutoria e ha fondato il giudizio di responsabilità dell’imputato individuando, nei termini già innanzi esplicitati, il profilo di colpa nell’omessa predisposizione di un idoneo DVR con riferimento agli specifici rischi dell’attività di stoccaggio delle travi. All’esito, sempre previo confronto con la sentenza di primo grado, è stato escluso che il fattore occulto, consistente nell’errata legatura del pacco di travi da parte del fornitore, e la condotta colposa del lavoratore, pur inseritisi nella seriazione causale dell’evento, abbiano interrotto il nesso causale tra la condotta omissiva dell’imputato e l’evento. Tanto il fattore occulto quanto la condotta del lavoratore, a giudizio della Corte territoriale, non hanno difatti attivato un rischio eccentrico rispetto a quello che era nella specie chiamato a governare il datore di lavoro; evento che, peraltro, è stato ritenuto concretizzazione del rischio non considerato nel DVR.

3.2. Sostanzialmente argomentando nei termini di cui innanzi, infine, la Corte territoriale ha peraltro fatto buon governo dei principi inerenti alla materia che ci occupa, già sanciti dalla giurisprudenza di legittimità e in questa sede ulteriormente ribaditi.

3.2.1. In merito, la più recente giurisprudenza, alla quale il Collegio intende dare continuità, suggerisce di abbandonare il criterio della imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica della relazione causale tra condotta del reo ed evento, ponendosi i due concetti su piani distinti, perché ciò che davvero rileva è che tale comportamento attivi un rischio eccentrico o, se si vuole, esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l’evento (per tutte, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, in motivazione; si vedano altresì per la successiva applicazione e elaborazione del principio, ex plurimis: Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603, anche in motivazione; Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242, anche in motivazione; Sez. 4, n. 22034 del 12/04/2018, Addezio, Rv. 273589, anche in motivazione; Sez. 4, n. 43350 del 05/10/2021, Mara, Rv. 282241, anche in motivazione; Sez. 4, n. 30814 del 11/05/2022, Lo Nero, non massimata; Sez. 4, n. 49413 del 23/11/2022, Troianiello, non massimata; Sez. 4, n. 41343 del 15/09/2022, Nardiello, non massimata).

3.2.2. Ne è conseguita dunque la necessità di individuare l’«area di rischio» oggetto di gestione al fine di accertare l’eventuale eccentricità rispetto a essa del rischio attivato dalla condotta del lavoratore inseritasi nella seriazione causale, con la precisazione che è dalla integrazione di obbligo di diligenza e regola cautelare che risulta in particolare definita l’«area di rischio», altrimenti ridotta alla mera titolarità della posizione gestoria.

Ben si comprende, quindi, come il connettersi dell’evento verificatosi a un rischio esorbitante da quell’area escluda ogni addebito del fatto a chi è preposto a governare proprio (e solo) tale «area di rischio» (Sez. 4, n. 15124 del 313/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603, in motivazione).

3.2.3. Ai fini di cui innanzi è stato infine chiarito da Sez. 4, n. 30814 del 11/05/2022, Lo Nero (non massimata), con articolata argomentazione culminata nel principio di diritto di seguito riportato, che le principali disposizioni di cui al Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (in particolare artt. 6, 15, 18, comma 1, lett. c), 28, commi 1 e 2, e 29, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008) consentono di argomentare nel senso per cui «La condotta colposa del lavoratore è idonea a interrompere il nesso di causalità tra condotta ed evento se tale da determinare un “rischio eccentrico” in quanto esorbitante dall”‘area di rischio” governata dal soggetto sul quale ricade la relativa gestione. La delimitazione, nella singola fattispecie, del rischio oggetto di valutazione e misura, quindi da gestire, necessita di una sua identificazione in termini astratti, quale rischio tipologico, e successiva considerazione con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione, quindi al rischio in concreto determinatosi in ragione de/l’attività lavorativa (rientrante o meno nelle specifiche mansioni attribuite)» [negli stessi termini, tra le altre, Sez. 4, n. 49413 del 2022, Troianiello, cit., non massimata, nonché, Sez. 4, n. 41343 del 2022, Nardiello, cit., non massimata, che fanno proprio l’iter argomentativo della citata Sez. 4, n. 30814 del 2022, Lo Nero].

3.3. Orbene, la Corte territoriale si è attenuta al principio da ultimo richiamato, che in questa sede si ribadisce, la cui rilevanza invece il ricorrente sostanzialmente vorrebbe negare in maniera assertiva facendo perno oltre che su una condotta colposa del lavoratore, peraltro consistente nel non aver adottato le cautele che un idoneo DVR avrebbe dovuto prevedere, sul fattore ritenuto occulto, quale l’inidoneo imballaggio del pacco di travi eseguito dal fornitore. Tale fattore, invece, con motivazione insindacabile in sede di legittimità in quanto coerente e logica, è stato sostanzialmente ritenuto tale da concorrere a integrare proprio la concreta attività svolta dal lavoratore e in particolare le condizioni di contesto della relativa esecuzione, rispetto alle quali non si mostra difatti eccentrica l’inidoneità dell’imballaggio delle travi oggetto di stoccaggio eseguito dal fornitore e sottoposte dal datore di lavoro al lavoratore per l’esecuzione del detto stoccaggio.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Fonte: Cassazione Web. Scarica in pdf

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